È dato acquisito, soprattutto negli ultimi tempi, che il numero di furti negli appartamenti sia in
progressivo aumento; che le intrusioni di estranei all’interno dei condomini siano sempre più
frequenti; che tali incursioni avvengano in determinati periodi ed in particolari ore del giorno ed,
infine, che i danneggiamenti negli spazi comuni esterni non siano relegati a fatti isolati, soprattutto
se interessano zone a rischio per scarsa illuminazione e frequentazione. Se mettiamo insieme tutti
questi fattori ecco che i condòmini possono decidere di proteggersi attraverso l’installazione di
telecamere che registrino i movimenti delle persone. Per ottenere questo occorre una delibera
assembleare ed un recente provvedimento del Garante della Privacy, interpellato da un
condomino, ha disegnato un quadro interessante.
La riforma del condominio del 2012 ha introdotto l’art. 1122-ter del codice civile con il quale è stato
stabilito che “le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti
volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la
maggioranza di cui all’art. 1136.
È evidente che il legislatore, nel formulare la disposizione, ha tenuto conto dell’interesse dei
condomini a proteggere le parti comuni dall’ingresso di persone che abbiano il solo scopo di
nuocere alla comunità, ed è questo il motivo per il quale il quorum deliberativo è stato fissato in
una percentuale relativamente bassa, richiedendo lo stesso un numero di voti che rappresenti la
maggioranza degli intervenuti all’assemblea pari alla metà più uno dei millesimi.
Tutto ciò malgrado l’intervento possa essere considerato non di amministrazione straordinaria ma
di carattere innovativo, trattandosi di introdurre nell’apparato condominiale un sistema
tecnologico che ben potrebbe essere inquadrato nell’ambito dell’art. 1120, comma 2.
In effetti, installare un impianto di videosorveglianza riveste il carattere tipico dell’innovazione
diretta al miglioramento delle cose comuni, in quanto diretto a rendere la vita della compagine
condominiale più sicura. In questo senso non vi sarebbe stato alcun ostacolo ad inserire
l’intervento nell’ambito della norma a momenti citata fa riferimento a quegli interventi ed opere dirette, tra l’altro, a migliorare la sicurezza degli edifici. Là dove la genericità del termine “sicurezza” può far pensare non solo alla sicurezza strutturale dello stabile. Tanto più che anche per questo tipo di interventi la maggioranza assembleare prevista è quella di cui all’art. 1136, comma 2.
Il Garante della Privacy è stato sempre molto attento alla problematica che interessa il rapporto tra la videosorveglianza e la tutela dei dati personali, essendo l’Autorità destinataria non solo di reclami provenienti dagli utenti, ma anche di domande frequenti che sono state filtrate quanto alla loro reiterazione e che hanno trovato risposte in specifici “vademecum”.
Nel caso che sia l’amministratore a disporre, unilateralmente, l’installazione del sistema di videosorveglianza provvedendo in prima persona a scegliere ed incaricare la ditta specializzata; a definire l’angolo/i da inquadrare ed, infine a dotarsi sul proprio smartphone di un’applicazione per visionare le immagini è evidente che il comportamento messo in atto violi palesemente la normativa condominiale. Non solo ma – come opportunamente rilevato dal Garante – tutte queste circostanze, nel loro complesso, “assumono particolare rilievo ai fini della corretta individuazione del titolare del trattamento e della connessa imputabilità delle responsabilità derivanti dall’inosservanza della disciplina in materia di protezione dei dati personali, contribuendo a qualificare, in questo caso, l’amministratore (e non il condominio) come titolare del trattamento”.
Nella specie, infatti, è innegabile che l’amministratore agisca senza tenere conto dei presupposti di
liceità previsti dall’art. 6 del Regolamento, in particolare della lett. a) secondo la quale il trattamento è legittimo se “l’interessato ha espresso il suo consenso al trattamento dei propri dati personali per una o più specifiche finalità”.
In conclusione, quindi, anche se potenzialmente l’amministratore pensi di agire nell’interesse dei
condomini, la sua buona intenzione viene frustrata dalla mancata osservanza della doppia
normativa in materia.
Si rendono, infine, necessarie ancora due considerazioni che emergono dall’esame del
provvedimento del Garante. In primo luogo, non può valere “consenso” il fatto che i condomini
conferiscano incarico all’amministratore, anche tramite delibera assembleare, di raccogliere egli
stesso preventivi o, comunque, di assumersi essi stessi tale onere. Una delibera in questo senso è
meramente esplorativa e programmatica, tanto che non sarebbe neppure impugnabile.
In secondo luogo, una decisione di tale portata non può essere considerata urgente, anche se il complesso condominiale sia sottoposto a frequenti atti vandalici. Difettando, quindi, del presupposto di cui all’art. 1135, comma 2, cod. civ. l’amministratore non può neppure appellarsi al suo diritto di
riferire del suo operato alla prima assemblea utile per ottenere dalla stessa una ratifica.
Da segnalare, infine, un ulteriore provvedimento assunto in materia dal Garante nei confronti di
un amministratore il quale, senza dare riscontro (ovvero fornendo una risposta parziale) alla
relativa richiesta di informazioni da parte dell’Autorità, è stato ritenuto responsabile per violazioni
alla normativa in materia di trattamento dei dati personali. Si tratta del Provvedimento del 7 aprile
2022, n. 120 con il quale, nel caso di “installazione di telecamera nella guardiola del custode” su
accordo e parere dei soli consiglieri del condominio, il custode era stato autorizzato
dall’amministratore ad installare un secondo dispositivo, che inquadrasse la zona corrispondente
alle cassette della posta interessata da atti vandalici. La questione, che non era stata oggetto di
ratifica da parte dell’assemblea a causa dell’interruzione delle riunioni per il Covid, sarebbe stata
poi oggetto di discussione due anni dopo la fine del relativo divieto. Per tale violazione,
considerata di rango “minore”, il Garante ha ritenuto sufficiente ammonire e non sanzionare
l’amministratore.