Va individuato innanzitutto un criterio di imputazione e misurazione dei costi della ricarica che poi l’amministratore addebiterà agli utilizzatori
L’approvazione da parte del Parlamento europeo dell’accordo sul taglio delle emissioni di CO2 per auto e veicoli commerciali leggeri imporrà, salvo improbabili e limitati ripensamenti, l’elettrificazione di tutto il settore degli autoveicoli sin dal 2035. I problemi attuativi che nascono da molte direttive europee non riguardano solo il settore direttamente interessato al provvedimento, ma producono effetti a cascata anche su altri settori che apparentemente non ne sembrerebbero interessati.
Il legislatore italiano spesso fa la parte dello struzzo, non si rende conto che le norme prima o poi bisogna applicarle, non coglie le opportunità che si presentano, non tenta in sede politica europea di avviare trattive serie e realistiche. Quando i nodi arrivano, poi, al pettine emana norme improvvisate senza consapevolezza delle conseguenze giuridiche ed economiche. L’elettrificazione del settore degli autoveicoli richiederà la installazione di punti di ricarica (colonnine) che potranno interessare gli edifici condominiali in cui vivono quasi 27 milioni di abitanti.
Sin dai prossimi anni quindi si porrà il problema del proliferare di richieste di installazione di colonnine per la ricarica delle auto nei condomìni. I condòmini saranno chiamati a deliberare sia sulla loro installazione, ma anche a regolamentarne l’uso e la collocazione. Problemi non semplici perché si dovrà mettere mano alle linee di alimentazione e, stante la potenza da erogare, si dovranno rifare intere dorsali e realizzare nuove cabine elettriche di trasformazione. Ovviamente il tutto comporterà un probabile aumento del rischio incendio che imporrà un adeguamento alle normative e magari una aumento del costo della polizza condominiale di assicurazione globale.
La possibilità di installare colonnine per la ricarica elettrica delle auto è prevista nell’articolo 17- quinquies, decreto-legge 83/2012 (così come convertito dalla legge 134/2012 e da ultimo modificato dal decreto legislativo 257/2016), il quale stabilisce, al secondo comma, che «le opere edilizie per l’installazione delle infrastrutture di ricarica elettrica dei veicoli in edifici in condominio sono approvate dall’assemblea di condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, primo, secondo e terzo comma, del codice civile».Quindi in seconda convocazione per deliberare la installazione di colonnine per la ricarica elettrica è sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti e un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio, in deroga alle norme sui quorum previsti dal codice per le innovazioni e le spese straordinarie. Ancora una volta una norma successiva alla riforma del condominio, introdotta con la legge 220/12, modifica l’articolo 1136 Codice civile prevedendo maggioranze speciali e più facilmente raggiungibili. Resta comunque valido il n. 4 del comma 1 dell’articolo 1135 Codice civile che impone la obbligatoria costituzione del fondo trattandosi comunque di opera di straordinaria manutenzione.
Sarà comunque difficile, soprattutto nei prossimi anni e negli edifici popolari, che le maggioranze vengano raggiunte, il costo di auto elettriche è ancora troppo alto rispetto a quello di un’auto a motore tradizionale. Non sarà semplice convincere chi nell’immediato non ha messo in conto l’acquisto di un’auto elettrica a sostenere il costo della colonnina di ricarica. Per questi casi, che saranno abbastanza frequenti, l’articolo 17-quinquies, decreto-legge 83/2012 prevede che il singolo condomino (o il gruppo richiedente) possa comunque procedere alla installazione, ma a proprie spese.
La norma richiama espressamente le disposizioni degli articoli 1120 Codice civile (Innovazioni) e 1121 Codice civile (Innovazioni gravose o voluttuarie): «Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 2, il condomino interessato può installare, a proprie spese, i dispositivi di cui al citato comma 2, secondo le modalità ivi previste. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del Codice civile». Ma se qualcuno, che non ha partecipato alla spesa, volesse in futuro utilizzare la colonnina di ricarica potrebbe avvalersi dell’articolo 17- quinquies che rinvia espressamente all’articolo 1121, terzo comma, Codice civile: «i condòmini e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera».
Il regolamento condominiale, neanche quello contrattuale, può limitare il diritto di installazione di colonnine elettriche e ciò vale sia per quelle che, a maggioranza, l’assemblea dovesse decidere di installare sia per quelle che, a proprie spese, ogni condomino volesse realizzare. Si tratta di una norma inderogabile per diverse considerazioni:
a) è una norma che modifica le maggioranze previste nell’articolo 1136 Codice civile, articolo questo inderogabile ai sensi dell’articolo 1138 Codice civile;
b) è una norma diretta a tutelare l’ambiente, la salute e la vivibilità e quindi inderogabile per le finalità sociali perseguite e a cui vanno sacrificati gli interessi i privati.
In ogni caso resta il divieto di cui al comma 4 dell’articolo 1120: «Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino».
Il problema però più importante e di non facile soluzione nelle convivenze condominiali è la regolamentazione dell’uso. Ovviamente nessun problema si pone se le colonnine istallate sono sufficienti a soddisfare individualmente ogni condomino. Ma normalmente non sarà così, sia perché il potenziale uso contemporaneo di più accessi alle ricariche porrà un problema di sovraccarico, sia perché, se le colonnine non sono in numero sufficiente, occorrerà prevederne l’utilizzo turnario. Inoltre si dovrà individuare un criterio di imputazione e misurazione dei costi della ricarica che poi l’amministratore condominiale addebiterà agli utilizzatori.
Altri aspetti da valutare, caso per caso, riguardano le particolari situazioni in cui si dovesse utilizzare per la loro installazione non un bene comune, ma ad esempio un’area esterna al condominio attraverso una convenzione. In tali casi potrebbe trovare applicazione il comma 3 dell’articolo 1135 Codice civile : «L’assemblea può autorizzare l’amministratore a partecipare e collaborare a progetti, programmi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonché di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, la vivibilità urbana, la sicurezza e la sostenibilità ambientale della zona in cui il condominio è ubicato».
Se la installazione delle colonnine dovesse avvenire su aree comuni, ma sia necessario procedere al loro cambiamento di destinazione occorrerà attenersi alle disposizioni dell’articolo 1117 ter Codice civile (Modificazioni delle destinazioni d’uso) che prevede procedure di convocazione e quorum deliberativi speciali.Sono due articoli quelli citati che hanno delineato con la riforma, legge 220/12, una nuova ed innovativa trasformazione dell’istituto condominiale in chiave sociale e di sviluppo che però non ha trovato per ora applicazioni concrete.
Purtroppo l’istituto della proprietà (e del condominio) sia per la cultura di molti giuristi ancorati ad un concetto conservativo dell’istituto, sia per la posizione corporativa e conservatrice di molte associazioni della proprietà, rischia di rendere difficile quella che è una necessità improrogabile: una visione dinamica e innovativa, un progetto di riformulazione e adattamento delle norme alle sfide epocali che dobbiamo affrontare. Questi limiti culturali li abbiamo visti di recente nel grave ritardo con cui il nostro ordinamento giuridico ha regolato le assemblee on line: ci è voluto il covid per recepire, con ritardo, quello che si era fatto in altri paesi anni prima e, per le società di capitale nel nostro ordinamento, da oltre 10 anni.