Le deliberazioni dell’assemblea dei condòmini con le quali siano modificati a maggioranza i criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge, o ne siano adottati di nuovi difformi dal modello legale, al fine di avvalersene stabilmente per il futuro, sono nulle e la relativa invalidità può essere fatta valere senza limiti di tempo, da chiunque vi abbia interesse.
Viceversa, devono essere qualificate come meramente annullabili quelle deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione tra i condòmini di spese relative alla gestione di parti e servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge, limitatamente ad un caso specifico e concreto (senza permanente volontà derogatoria), con la conseguenza che la relativa impugnazione dovrà essere proposta nel termine, perentorio e decadenziale, previsto dall’articolo 1137 comma 2 del Codice civile di trenta giorni, decorrenti dalla data della delibera per i presenti dissenzienti o astenuti, o dalla data di ricezione del relativo verbale, per gli assenti.
Questi i rilevanti principi di diritto contenuti nell’ordinanza numero 20888 del 18 luglio 2023, con la quale la Cassazione, richiamando il precedente costituito dalla sentenza numero 9839 del 14 aprile 2021 delle Sezioni unite, ha parzialmente accolto il ricorso dei proprietari di un ufficio ai quali, mediante decreto ingiuntivo tempestivamente opposto, il condominio aveva intimato il pagamento di quote relative (anche) all’uso dell’ascensore che, con una delibera di approvazione dei riparti di spesa assunta a maggioranza, erano state incrementate forfetariamente, sul presupposto di un utilizzo più frequente dell’impianto elevatore da parte di dipendenti e clienti.
Nonostante il Tribunale di Milano avesse accolto l’opposizione spiegata dai ricorrenti, censurando la violazione dei criteri di riparto previsti dall’articolo 1124 del Codice civile deliberata a maggioranza, la Corte distrettuale meneghina, a seguito di gravame spiegato dall’ente di gestione, con la sentenza numero 4409/2017, ha ribaltato l’esito del giudizio. Valutando la delibera oggetto di contestazione come annullabile, e non radicalmente nulla, il giudice di secondo grado aveva ritenuto irrimediabilmente spirato il termine dei trenta giorni previsto per adire l’autorità giudiziaria, al fine di far valere la patologia invalidante.
Ad avviso della Corte d’appello, dunque, la determinazione assembleare con la quale erano state approvate le quote afferenti all’uso dell’ascensore nella misura maggiorata e contestata dai condòmini interessati, non essendo stata impugnata per tempo, era divenuta ormai stabile, definitiva e vincolante anche per i dissenzienti. Per la cassazione di tale pronuncia, hanno proposto ricorso gli appellati soccombenti, censurando, tra l’altro, in punto di diritto la qualificazione giuridica operata nel precedente grado di giudizio.
Il giudice di legittimità, con la sentenza in commento, e per quanto di nostro interesse in questa sede, ha disatteso la valutazione giuridica che della delibera contestata ha fatto la Corte d’appello di Milano, affermandone la nullità e ribadendo con chiarezza i principi che governano la materia. La delibera condominiale adottata a maggioranza degli aventi diritto con la quale l’assemblea, valutati i disagi provocati dall’ufficio dei ricorrenti, ha stabilito a carico di questi ultimi un onere maggiorato di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della sua più intensa utilizzazione rispetto agli altri, deve considerarsi nulla in quanto la stabile modifica dei criteri legali di cui all’articolo 1124 del Codice civile richiede il consenso di tutti i condòmini. Tale consenso può essere manifestato o in una pattuizione sottoscritta da tutti i componenti la compagine condominiale, ovvero contenuto in una delibera assembleare assunta all’unanimità. In aggiunta a questa considerazione di per sé assorbente, osservano i giudici, si deve aggiungere che il criterio di ripartizione delle spese sulla base dell’uso differenziato derivante dalla diversità strutturale della cosa, contenuto nel secondo comma dell’articolo 1123 del Codice civile, non è applicabile alle spese generali, né, in particolare, alle spese erogate per garantire il funzionamento dell’ascensore, in quanto, rispetto ad esse, l’applicazione dell’articolo 1124 del Codice civile (impropriamente derogato a maggioranza) già consente di tenere nel dovuto conto un uso più intenso, in proporzione all’altezza dei piani.
Le osservazioni della Cassazione, non si esauriscono all’enunciazione dei principi appena esposti, ma contengono un’ulteriore specificazione. Le deliberazioni successive, che ripartiscono le spese in esecuzione del criterio illegittimamente stabilito (in deroga a quello legale) dall’assemblea a maggioranza, sono, invece, annullabili e non nulle per propagazione, in quanto non sono dirette a stabilire, o a modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi previste dalla legge, o dalla volontà negoziale unanime dei condòmini, ma, più semplicemente, comportano un’errata applicazione di dette regole, riferita al (solo) caso concreto e specifico.
Ne consegue che, nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi non versati, la loro invalidità potrà essere sindacata dal giudice unicamente se fatta valere dall’opponente mediante apposita (ed autonoma) domanda riconvenzionale di annullamento, nel rispetto del termine previsto dall’articolo 1137 del Codice civile. Ricorso accolto sul punto, dunque, e parola nuovamente alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, sia per procedere a riesaminare la questione uniformandosi ai rilievi svolti dalla Cassazione, che per provvedere sulle spese del terzo grado di giudizio.