Tra le attribuzioni a carico dell’amministratore è compresa quella finalizzata al compimento degli atti conservativi sulle parti comuni dell’edifici, rappresentati anche dalla proposizione di azioni a tutela del condominio.
Gli atti conservativi dell’amministratore
Il testo dell’art. 1130 cod. civ. ha subito una complessiva trasformazione per effetto della legge 220/2012 che, tuttavia, non ha interessato l’attività di mantenimento che l’amministratore deve compiere sulle parti comuni dell’edificio (ivi comma 1, n. 4) avendo, la stessa, il carattere di ordinaria amministrazione, poiché funzionale ad assicurare l’integrità strutturale ed il godimento dell’edificio nelle porzioni non esclusive, rispetto alle quali ciascun condomino è portatore di interessi, di diritti e di conseguenti doveri.
La formulazione indistinta della locuzione “atti conservativi” ha fatto sì che la giurisprudenza ne abbia dato un’interpretazione estensiva. È stato, infatti, affermato che nell’art. 1130, n. 4, cod. civ., devono essere compresi non solo gli atti conservativi in senso stretto e necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, ma anche le ulteriori iniziative di carattere giudiziario rispetto alle quali l’amministratore conserva il potere – dovere di agire a salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato. Rientra, pertanto, nell’ambito dell’art. 1130 n. 4 cod. civ. l’azione di cui all’art. 1669 cod. civ. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale e i singoli appartamenti (Cass., sent. 31 gennaio 2018, n. 2436).
L’attività di conservazione che interessa le parti comuni dell’edificio si realizza mediante due categorie di interventi caratterizzati tanto per la loro natura, quanto per il profilo soggettivo che determina la legittimazione alla loro esecuzione.
Più precisamente, quando si verte nell’ambito della manutenzione ordinaria l’onere di intervenire è a carico dell’amministratore, come previsto specificamente dall’art. 1130, n. 4. Quando, invece, si esula da questo contesto si entra nel campo della manutenzione straordinaria, le cui decisioni sono demandate alla volontà dell’assemblea, come sancito dall’art. 1135 cod. civ. Rispetto a tale disposizione resta, comunque, ferma la validità di un’iniziativa presa unilateralmente dall’amministratore, il quale si sia trovato di fronte ad una situazione di urgenza, senza che per questo sia eliminata la necessità di una celere ratifica del suo operato da parte dell’assemblea.
La decisione dell’amministratore di disporre l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio condominiale, non preceduta da una preventiva approvazione dell’assemblea ovvero dalla successiva ratifica ad opera della stessa, non determina l’insorgenza di alcun obbligo di contribuzione dei condomini al riguardo. A questo proposito la giurisprudenza ha osservato che in tale caso non trova applicazione il principio secondo cui l’atto compiuto, benché irregolarmente, dall’organo di una società resta valido nei confronti dei terzi che abbiano ragionevolmente fatto affidamento sull’operato e sui poteri dello stesso, dal momento che i poteri dell’amministratore del condominio e dell’assemblea sono delineati con precisione dagli artt. 1130 e 1335 cod. civ. Del resto, in tale situazione il terzo non può certamente invocare l’eventuale carattere urgente della prestazione commissionatagli dall’amministratore, rilevando tale presupposto solo nell’ambito del rapporto di mandato tra condominio ed amministratore ai fini del rimborso delle spese (Cass. ord., 18 agosto 2017, n. 20136. Fattispecie rispetto alla quale la Corte aveva ritenuto inopponibile al condominio il contratto con cui l’amministratore aveva autonomamente conferito ad un legale il compito di assistenza nella redazione di un contratto di appalto per lavori di manutenzione straordinaria, anche se determinati da un’ordinanza comunale impositiva di lavori urgenti alla facciata dell’edificio).
La differenza tra interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria produce effetti anche sul tipo di contratto che viene applicato nel caso di lavori condominiali.
Di norma, quando si parla di opere di carattere ordinario ci si riferisce ad un’attività materiale di tipo protettivo, consueta e prevedibile, che è strettamente legata al fisiologico degrado delle parti comuni dello stabile e che non richiede opere rilevanti, anche sotto il profilo economico. L’insieme di tali elementi fa sì che l’amministratore per eseguire i lavori si affidi a persone di fiducia, che eseguono le opere prevalentemente in proprio. In questo caso trova applicazione l’art. 2222 codice civile “contratto d’opera”, caratterizzato dal fatto che la prestazione dell’obbligazione commissionata viene svolta in prevalenza dal prestatore, il quale si può fare coadiuvare da componenti della propria famiglia o da qualche collaboratore secondo il modulo organizzativo della piccola impresa.
Diversamente, quando i lavori commissionati siano di natura tale da richiedere l’intervento di impresa di media o grande dimensione, nonché dotata di una apprezzabile struttura organizzativa, non si potrà che sottoscrivere un contratto di appalto che – secondo il disposto dell’art. 1655 codice civile – è definito come l’accordo con il quale una parte (appaltatore) “assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro”.
Tale distinzione è stata chiaramente evidenziata dalla costante giurisprudenza che, ha centrato il punto concernente le caratteristiche dei due tipi di contratto: “la distinzione tra contratto d’opera e contratto d’appalto (nella specie rilevante ai fini dell’applicazione, riguardo all’azione diretta a far valere la garanzia per difetti e difformità dell’opera, della prescrizione annuale ex art. 2226, secondo comma, cod. civ. o della prescrizione biennale ex art. 1667, terzo comma), si basa sul criterio della struttura e dimensione dell’impresa a cui sono commissionate le opere, nel senso che il contratto d’opera è quello che coinvolge la piccola impresa, e cioè quella svolgente la propria attività con la prevalenza del lavoro personale dell’imprenditore (e dei propri familiari) e in cui l’organizzazione non è tale da consentire il perseguimento delle iniziative di impresa facendo a meno dell’attività esecutiva dell’imprenditore artigiano.
L’articolo 1669 del codice civile disciplina la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa quando, nel caso di edifici o altri beni immobili destinati per loro natura a lunga durata, nel corso di dieci anni dal compimento dei lavori, la costruzione rovini in tutto o in parte ovvero presenti un evidente pericolo di rovina o gravi difetti. L’operatività della norma richiede che la denunzia sia effettuata entro un anno dalla scoperta, mentre il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia medesima.
Tale disposizione assume una importanza considerevole soprattutto quando ci si trovi di fronte ad un edificio in condominio rispetto al quale, proprio per la natura giuridica dello stesso, assume particolare rilevanza sia il momento della scelta della ditta esecutrice dei lavori, sia il profilo concernente l’individuazione del soggetto legittimato ad agire nei confronti dell’appaltatore nel caso previsto dall’art. 1669 codice civile.
L’amministratore del condominio è “attivamente legittimato nei confronti del costruttore/venditore per proporre azione risarcitoria per i soli vizi afferenti all’intero complesso edilizio, valutato nella sua unitarietà, senza alcuna distinzione tra le parti comuni e le parti private”. Tale legittimazione, invece, viene esclusa se la domanda di risarcimento sia connessa ai danni derivanti dai vizi di costruzione ma verificatisi solo all’interno delle varie unità abitative dei condomini.