La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza del 23260 del 20 agosto 2021, affronta la differenza tra azione di manutenzione e quella di reintegrazione, stante la realizzazione di una scala metallica esterna aperta, posta tra due edifici.
Il ricorrente, in particolare, assumeva che la realizzazione della scala costituisse turbativa del possesso riducendo l’intercapedine tra i due fabbricati, così da pregiudicare la fruibilità delle vedute e consentendo a terzi estranei di “inspicere” nella sua proprietà.
Ora, prima di affrontare il merito della questione, si impone una breve premessa in ordine alla tipologia degli strumenti processuali appena menzionati. L’azione di manutenzione L’azione di manutenzione è disciplinata dall’articolo 1170 codice civile, è soggetta a termine ed è volta a tutelare il possesso oggetto di molestia da parte di un terzo. L’azione di reintegrazione o di spoglio è invece esperibile soltanto nel caso in cui si sia stati privati del possesso. L’azione ha infatti “funzione recuperatoria” essendo diretta al ripristino della preesistente situazione di fatto, con la conseguenza che non può essere proposta e dà luogo a risarcimento del danno nell’ipotesi di distruzione totale della cosa (Cass. n. 3731/1985).
Nella fattispecie trattata il giudice di merito aveva ritenuto inutilizzabile l’azione di manutenzione del possesso, siccome il ricorrente aveva formalizzato il ricorso nell’ambito di un’azione di reintegrazione e, ad ogni modo, non avrebbe dato prova della molestia possessoria (ovverosia del pregiudizio in ordine alla privazione di aria luce per le finestre di rispettiva pertinenza). Niente di più sbagliato, a parere dei giudici di legittimità, i quali rimandando la sentenza, per come cassata (con rinvio), al decidente di secondo grado. Nello specifico – al di là del distinguo tra azioni possessorie, per come sopra riportate – ciò che viene censurato è l’assenza del percorso logico e giuridico espresso in motivazione per legittimare il rigetto della domanda del ricorrente. La sentenza Per come si legge nel provvedimento in commento, l’errore commesso dal giudice del gravame è stato quello, intanto, di non aver accertato se la scala rientrasse nel novero della nozione di “nuova costruzione” ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di distanze, in quanto – in caso di risposta affermativa -, occorreva parimenti verificare (d’ufficio) se la medesima scala fosse posizionata ad una distanza legale rispetto l’immobile del ricorrente.
Conseguentemente, la conclusione che si ricava – e che viene dedotta – è la seguente: in caso di “… manufatto di nuova costruzione che venga a trovarsi a distanza inferiore a quella legale rispetto all’altrui fondo, impendendo anche il comodo affaccio esercitabile su di questo, realizza una turbativa del possesso del vicino reclamabile con l’azione di manutenzione”.