L’articolo 69 delle disposizioni di attuazione del Codice civile stabilisce che i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale disciplinata dal precedente articolo 68 possono essere rettificati o modificati all’unanimità oppure, anche nell’interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, del Codice civile, quando risulta che sono conseguenza di un errore oppure quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, viene alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino.
La modifica conseguenza di una sentenza
La giurisprudenza (Cassazione ordinanza 23739/2024) ha precisato in proposito che la sentenza prevista dall’articolo 69 delle disposizioni di attuazione, che accoglie la domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali delle singole unità immobiliari, espressi nella tabella millesimale, ha natura non
dichiarativa, bensì costitutiva, dal momento che svolge la stessa funzione dell’accordo raggiunto all’unanimità dai condòmini. E l’efficacia di tale sentenza, in mancanza di una specifica disposizione di legge contraria, decorre dal suo passaggio in giudicato.
Ma la natura costitutiva della sentenza comporta un’importante conseguenza: infatti non spetta a ciascun condomino, ma compete al solo amministratore la legittimazione ad agire per ottenere l’indennizzo previsto dall’articolo 2041 del Codice civile (disposizione che riguarda l’azione generale di arricchimento e
stabilisce che chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale) nei confronti del singolo condomino che abbia versato, prima della modifica, quote condominiali calcolate sulla base di
valori millesimali inferiori e non rispondenti al reale valore dell’unità.
L’indebito arricchimento
A questa conclusione si perviene perché in tal modo si è realizzato un arricchimento indebito a cui corrisponde un depauperamento della cassa comune relativo a somme altrimenti destinate a far fronte ad esigenze dell’intero condominio e non dei singoli condòmini. In altre parole, nel caso in cui un condomino abbia versato, prima della modifica, quote condominiali calcolate sulla base di valori millesimali che non rispondevano al reale valore della sua unità immobiliare, al risparmio di spesa ottenuto corrisponde – come si è detto – un arricchimento indebito con depauperamento della cassa comune in assenza di giustificazione per quanto riguarda somme che altrimenti sono destinate a far fronte ad esigenze del condominio intero, che, quindi, è legittimato ad agire per ottenere l’indennizzo ai sensi dell’articolo 2041.
Il minor incasso subito
D’altra parte la giurisprudenza ha anche avuto modo di osservare che, se non si potesse fare ricorso all’articolo 2041, il condominio non avrebbe a disposizione un differente rimedio per recuperare il minore incasso che ha subito; e ha aggiunto che neppure l’eventuale inerzia del condominio o dei
condòmini avrebbe potuto condurre a escludere il fondamento dell’azione di indebito arricchimento o a ridurre l’entità dell’indennizzo dovuto, dato che non trova applicazione in questo caso la disposizione dettata dall’articolo 1227 del Codice civile.
La previsione riguarda il concorso del fatto colposo del creditore (stabilisce, da un lato, che, se il fatto colposo del creditore ha concorso a causare il danno, il risarcimento viene diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate, e, dall’altro lato, che il risarcimento non è
dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (Cassazione sentenza 5690/2011).