È possibile sottrarre al condominio le parti comuni?

Solo quando è comprovato di avere acquisito, a titolo derivativo o a titolo originario per usucapione, la proprietà esclusiva di esse Il presente commento intende analizzare le modalità attraverso cui sia possibile superare il principio di presunzione legale di cui all’articolo 1117 Codice civile, alla luce del contenuto di una recente ordinanza della Cassazione, la numero 28157 del 27 settembre 2022.

Le parti comuni
L’edificio condominiale comprende l’intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto e, quindi, anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse ed il suolo su cui sorge l’edificio costituiscono, di regola, oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’articolo 1117 Codice civile, quando risultino obiettivamente destinati all’uso ed al godimento comune. L’articolo in commento individua tre categorie di parti comuni, in ragione del loro rapporto strutturale o funzionale con l’edificio: – parti che formano la struttura dell’edificio, in senso stretto; – locali accessori destinati al servizio generale dello stabile; – tutti gli impianti e le opere non indispensabili ma destinati a servizi di uso e godimento comune.

La presunzione di condominialità a norma dell’articolo 1117 Codice civile si specifica nel senso che i beni indicati da detta norma, con elencazione non tassativa ma solo esemplificativa, si intendono comuni per la loro attitudine oggettiva e la loro concreta destinazione al servizio comune (Cassazione 5633/2002).È dunque sufficiente, per presumere la natura condominiale, che un bene «sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condòmini, in rapporto con queste da accessorio a principale» (in tale senso Cassazione 11195/2010, conforme, Cassazione 20593/2018).

Di fronte a tale “presunzione” l’onere di provare la proprietà esclusiva dello stesso, idonea a vincere la presunzione di cui sopra, viene posto interamente in capo al condòmino che intende assumere che quella data parte strutturale (come, ad esempio, uno scantinato o un lastrico solare) sia sottratta dal novero delle parti comuni, senza che in ciò possa ravvisarsi la dedotta violazione dell’articolo 2697 Codice civile, a mente del quale: «Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fondi».

Come si prova che il bene è esclusivo
In questi termini, a suffragare la prova della proprietà esclusiva, ovvero per soddisfare l’onere della prova e superare la presunzione legale che assiste la natura comune delle parti strutturali inserite nell’ambito di un edificio condominiale, occorre offrire in comunicazione la prova di avere acquisito, a titolo derivativo o a titolo originario per usucapione, la proprietà esclusiva di essa. Per contro, non possono valere «né le risultanze del regolamento condominiale né l’eventuale inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un condomino», ma solo – come precisato – un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene» (Cassazione 5633/2002; conformi 17928/2007 e 6175/2009). C’è un’ultima digressione da fare sull’argomento, per completezza argomentativa, che è quella per cui la pattuizione avente ad oggetto l’attribuzione del cosiddetto «diritto reale di uso esclusivo e/o limitato» su una porzione di “parte comune” (come, ad esempio, un cortile), mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, idoneo ad incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condòmini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’articolo 1102 Codice civile, è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numero chiuso dei diritti reali e della tipicità di essi (Cassazione, Sezioni unite, sentenza 28972 depositata in cancelleria il 17 dicembre 2020). Ne consegue che il titolo negoziale che siffatta attribuzione abbia contemplato implica di verificare, nel rispetto dei criteri di ermeneutica applicabili, se, al momento di costituzione del condominio, le parti non abbiano voluto trasferire la proprietà ovvero, sussistendone i presupposti normativi previsti e, se del caso, attraverso l’applicazione dell’articolo 1419 Codice civile, costituire un diritto reale d’uso ex articolo 1021 Codice civile, ovvero, ancora se sussistano i presupposti, a norma dell’articolo 1424 Codice civile, per la conversione del contratto volto alla creazione del diritto reale di uso esclusivo in contratto avente ad oggetto la concessione di un uso esclusivo e perpetuo (ovviamente “inter partes”) di natura obbligatoria.

Conclusioni, tutto ciò posto, parte dell’impianto argomentativo qui reso sulla questione della rivendicazione di una parte comune come parte privata è stata appena trattata dalla Cassazione, con la ordinanza 28157 del 27 settembre 2022, la quale ha respinto la richiesta di un condòmino di annettere alla rispettiva proprietà un locale scantinato – oggetto di deliberazione da parte dell’assemblea dei condòmini al fine di utilizzarlo per realizzarvi una rampa di accesso al locale portineria – a causa proprio della carenza di prova: sia per la rivendica addotta a titolo derivativo (cioè in forza di quanto riportato nel rispettivo contratto di compravendita e in quelli precedenti di cui al rispettivo dante causa), sia con riguardo a quello a titolo originario (vale a dire ricorrendo alla figura dell’usucapione, cioè del possesso pacifico, ininterrotto per oltre vent’anni).

‘art. 810 cc, possono formare oggetto di diritti.

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