Della cattiva gestione contabile risponde sempre l’amministratore pro tempore, non il condominio

Il Tribunale di Roma, con sentenza 3580 pubblicata il 7 marzo 2022 riporta che, nel caso in cui si intendano svolgere delle contestazioni sull’operato dell’amministratore, specie in ragione alla tenuta della contabilità anche in tema di rendiconti non approvati, l’onere probatorio per dimostrare della mancanze od omissioni e i conseguenti danni grava sul condominio e non anche in capo all’amministratore, il quale, al più, dovrà offrire la “prova contraria” sugli addebiti contabili.

Il rapporto tra amministratore e condòmini va inquadrato nell’ambito del mandato con rappresentanza assunto su mandato collettivo con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l’amministratore mandatario e ciascuno dei condòmini mandanti, delle disposizioni di cui agli articoli 1703 e 1730 Codice civile nonché di quelle che impongono al mandatario di eseguire l’incarico ricevuto con la diligenza del buon padre di famiglia, oltre alle specifiche norme dettate in materia (articoli 1129 e 1130 Codice civile).

Tale parametro di valutazione è applicabile alla tipologia di incarico assunto dall’amministratore condominiale in ipotesi di sua responsabilità per inadempimento, ritenendosi, in linea con il principio espresso dalla Suprema corte sul punto, che «in tema di mandato, grava sul mandatario l’obbligo di compiere gli atti giuridici previsti dal contratto con la diligenza del buon padre di famiglia (articolo 1710 Codice civile), con quella diligenza, cioè, che è lecito attendersi da qualunque soggetto di media avvedutezza e accortezza, memore dei propri impegni, cosciente delle relative responsabilità» (Cassazione 19778/2003).Ne consegue che, in caso di inadempimento nello svolgimento del proprio incarico, l’amministratore sarà tenuto a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale ex articolo 1218 Codice civile.

Dunque, in applicazione degli ordinari criteri di ripartizione dell’onere probatorio, spetta al condominio che agisce per la responsabilità contrattuale dell’amministratore revocato allegare e provare, oltre alla fonte negoziale del proprio diritto, di avere subito pregiudizi, causalmente ricollegabili alla condotta inadempiente tenuta dall’amministratore. Il condominio, in generale, in quanto mandante, è onerato della prova (da fornirsi tanto attraverso la contabilità – se regolarmente tenuta e approvata – e/o i versamenti eseguiti e le uscite comprovate da documenti di spesa quanto attraverso i movimenti del conto corrente) che determinati esercizi si siano, in realtà, chiusi, con irregolarità contabili occultate o che siano stati violati specifichi obblighi incombenti sull’amministratore, fermo restando il consueto onere probatorio (della perdita subita) a carico di chi si affermi danneggiato.

Di contro, il cessato amministratore è onerato – in quanto contrattualmente debitore verso il condominio della propria prestazione (anche professionale) di mandatario – della prova della corretta gestione. In particolare, «l’obbligo di rendiconto è legittimamente adempiuto quando chi vi sia tenuto fornisca la prova, attraverso i necessari documenti giustificativi, non soltanto delle somme incassate e dell’entità causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione e al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, onde stabilire se il suo operato si sia adeguato a criteri di buona amministrazione»(Cassazione 19991/2012).

Sotto altro e diverso aspetto – così risulta in sentenza – la delibera assembleare di approvazione del rendiconto non preclude la contestazione in sede di proposizione di azione risarcitoria da parte del condominio contro l’ex amministratore, sia per il carattere dichiarativo e confessorio dell’atto di approvazione del conto, revocabile o modificabile in caso di dolo o colpa grave del mandatario (ex articolo 1713 Codice civile), sia perché l’assemblea (a norma degli articoli 1130 numero 3 e 1135 Codice civile) può approvare e autorizzare pagamenti soltanto ove si riferiscano a spese effettivamente erogate per la manutenzione delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni (Tribunale di Milano, sentenza 7460/2005).

Nella fattispecie trattata dal giudice romano era stato necessario ricorrere ad una Consulenza tecnica d’ufficio (CTU) al fine di verificare l’intera contabilità del periodo di gestione, nonostante delle carenze documentali legate all’assenza del registro di “cassa”. Dalla ricostruzione dei movimenti il consulente del Tribunale aveva rilevato che le entrate nel conto corrente condominiale fossero superiori alle uscite sostenute per pagare i fornitori condominiali.

La differenza fra la somma che avrebbe dovuto rinvenirsi nelle casse condominiali, al termine della gestione, e quanto effettivamente ivi presente, è stato ritenuto il danno liquidabile al condominio a titolo di risarcimento, in assenza di prova contraria offerta dall’amministratore.

Va evidenziato, dunque, che la ricostruzione contabile sulla gestione tenuta da un precedente amministratore per carenza di documentazione (imputabile ad una scarsa diligenza nella tenuta e redazione della documentazione condominiale) non può certo costituire un motivo sufficiente per giustificare l’esenzione dell’amministratore dall’onere, derivante dalle norme generali in tema di mandato, di provare di aver utilizzato il denaro del condominio per le finalità gestorie con la conseguenza paradossale di addossare al condominio stesso gli effetti di tale cattiva gestione.

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