Nel caso in esame si trattava di un ristorante situato in un condominio.
Nel condominio un motivo di litigio ricorrente, assieme all’intasamento delle condotte di scarico dei rifiuti nelle colonne adibite, è lo sversamento di rifiuti nelle condotte fognarie, in modo da intasarle e obbligare il ricorso ai servizi di spurgo, condotta idonea a configurare ipotesi di reato.
Il Tribunale riconosceva due condòmini responsabili di due reati ambientali (articolo 256 del Dlgs 152/2006 e 674 Codice penale) e li condannava alla pena dell’ammenda, oltre al risarcimento del danno del condominio, in quanto, nell’esercizio di un’attività imprenditoriale sversavano, in più occasioni, rifiuti oleosi nelle condutture fognarie. Il condominio era costretto a ricorrere ai servizi di spurgo delle stesse, in cui veniva ritrovata una consistente quantità di materiale occludente, riconducibile allo sversamento di un’ingente quantità di olio, che provocava un traboccamento di acque nere nei box di pertinenza. I due condòmini ricorrevano alla Cassazione, lamentando l’ingiustizia della sentenza di condanna, affermando che tali rifiuti non erano a loro riconducibili in quanto difettava una prova idonea ad affermare la loro responsabilità.
La Cassazione (sentenza 21195/2023) dichiarava inammissibili i ricorsi e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende. La Corte sosteneva la responsabilità dei ricorrenti poiché riteneva corretto il ragionamento del Tribunale: non era verosimile che detti eventi fossero riconducibili ai comportamenti dei singoli condòmini, poiché altrimenti si sarebbe dovuto ipotizzare che avessero versato tutti assieme, nello stesso momento, molti litri di olio esausto provenienti dall’uso domestico. Invece, il Tribunale sosteneva che detta situazione era stata cagionata dall’attività di ristorazione dei ricorrenti, unica attività imprenditoriale e che interessava detta condotta fognaria.
Il Tribunale escludeva che tale sversamento fosse stato cagionato da ignoti, mentre fin dal 2014 i Carabinieri del Nas avevano registrato, a carico dei ricorrenti, la mancata attuazione delle procedure di raccolta e di smaltimento di olii, pur prevista nel piano di autocontrollo aziendale.
L’istruttoria dibattimentale accertava la presenza, nell’attività dei ricorrenti, la presenza di un fusto di 50 litri contenente gli stessi olii esausti non smaltiti. Il Tribunale riteneva credibili le dichiarazioni dei condòmini, parti civili, che sostenevano l’esistenza di uno stato di tensione con i ricorrenti per la presenza di un forte odore di frittura sotto il porticato e nell’androne condominiale.
Assenza di attività manutentive. Il Giudice riscontrava tali dichiarazioni attraverso l’esame dell’impianto di aspirazione e di abbattimento degli odori presente nel ristorante, riscontrando che i ricorrenti non avevano fatto eseguire le necessarie attività manutentive, tra le quali il controllo del generatore di ozono e la rigenerazione delle cartucce a carbone attivo. Ne consegue che il Tribunale ravvisava la sussistenza di entrambe le contravvenzioni.
La Cassazione confermava le conclusioni del Tribunale che richiamava la giurisprudenza di legittimità (sentenza 34922/2016) per cui la mancata presentazione delle conclusioni non configura la revoca tacita della costituzione della parte civile, quando la parte si richiama alle conclusioni presentate all’atto della costituzione, oppure siano state verbalizzate le richieste orali relative al risarcimento del danno, alla concessione della provvisionale, o alla rifusione delle spese.