Come è noto, spesso i regolamenti condominiali sono datati, specie quelli predisposti dal costruttore e registrati nei soli atti di acquisto degli appartamenti. Ebbene anche un regolamento contrattuale del 1921 spiega effetto dopo un secolo di vita ed è in grado di vietare in condominio un B&B e/o un affittacamere. Lo ha precisato il Tribunale di Roma nella sentenza 4158/ 2024 tentando di spiegare come mai una norma ante litteram riesca a sopravvivere al tempo e al costume sociale.
La causa si snoda tra un condominio è una guest house nel centro di Roma per impedire alla società di utilizzare gli immobili del palazzo come affittacamere ammobiliati. La questione nodale verteva tutta sulla legittimazione di una clausola originaria (trascritta presso la Conservatoria delle Ipoteche di Roma il 6 maggio 1921) non trasfusa integralmente nel contratto di compravendita dell’immobile in disamina, ma richiamata indirettamente mediante il riferimento al regolamento condominiale, in cui nella parte finale era dato leggere: «Detta vendita si effettua con tutte le modalità, condizioni, diritti e servitù di cui al contratto stesso». Secondo il giudice romano – richiamando parte della giurisprudenza di legittimità – è sufficiente che la clausola del regolamento sia stata trascritta sui registri immobiliari, per essere opponibile anche ai successori a titolo particolare o universale, che entrano nella titolarità di diritto dell’immobile, in forza di un semplice richiamo per relazione della disposizione nei rispetti titoli di proprietà.
Quindi, il regolamento di condominio, anche quando non sia materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell’edificio condominiali, fa corpo con esso, sia nell’atto espressamente richiamato e approvato. In questo caso, il vincolo scaturiva dalla accettazione delle disposizioni che limitano i diritti dominicali dei singoli (Cassazione 22582/2016; con specifico riferimento ai B&B anche Tribunale Roma 5492/2021).
A questo orientamento, va detto per precisione, se ne contrappone – pure richiamato in sentenza – un altro che assume, diversamente dal primo, che per essere opponibile al nuovo proprietario una simile clausola essa deve essere specificatamente riportata già nel contratto, ovvero nella nota di trascrizione, non potendosi desumere la relativa forza vigente in virtù di un mero richiamo letterale a un altro atto ancora ad esso connesso solo «formalmente» (Cassazione 19229/2014).
Non necessaria alcuna verifica se c’è un divieto nel regolamento
Quanto, invece, alla natura del vincolo soggettivo all’uso o al godimento dell’immobile, il giudice di primo grado riferisce che, qualora il regolamento di condominio – come nel caso in specie – faccia divieto di svolgere determinate attività non occorre accertare, al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca immissione vietata a norma dell’articolo 844 codice civile (immissioni intollerabili), bensì bisogna solo comprendere se il regolamento abbia imposto o meno una clausola limitativa del diritto di disposizione secondo i presupposti dell’autonomia contrattuale di cui all’articolo 1372 Codice civile.
In quanto tale, il vincolo in disamina, da potersi inquadrare pacificamente come un diritto di servitù gravante sulle singole proprietà, comporta conseguenzialmente il divieto allo svolgimento di attività non riconosciute come legittime già per il semplice svolgimento. Da cui l’inibitoria allo prosecuzione del B&B e la condanna alle spese di lite per il proprietario-imprenditore.