Le delibere non formalmente impugnate per vizi che possano causarne l’annullabilità o persino la nullità, dove per impugnazione non si intende il semplice reclamo scritto, sono obbligatorie per tutti i condòmini. È per questo che il dissenziente che non abbia regolarmente contestato la delibera di spartizione delle spese non potrà esimersi dal pagare quanto richiesto in base alla divisione approvata. Ma tale criterio vale anche nei rapporti tra condominio ed amministratore per cui la delibera di approvazione del rendiconto annuale di gestione – ed i crediti risultanti in suo favore per anticipazioni o compensi – non potrà più esser messa in discussione qualora non sia stata impugnata con la procedura appositamente prevista. A precisarlo, è la Corte di appello di Roma con sentenza 5915 del 13 settembre 2021.
Apre la lite l’opposizione formulata da un condominio contro l’ingiunzione a pagare 11 mila euro all’ex amministratore come rimborso delle somme anticipate durante il mandato. L’ente, però, chiede la revoca del decreto e il ristoro dei danni diretti ed indiretti subiti per cattiva gestione. Il Tribunale lo revoca ma rigetta la riconvenzionale e il caso arriva in appello dove il condominio chiede dichiararsi nulla dovuto all’amministratore ed insiste sulla pretesa risarcitoria per le numerose anomalie, mancanze e valutazioni superficiali rese dal consulente ed evidenziate dai documenti. Richiama, poi, il principio per cui la delibera che approva il consuntivo, anche se evidenzi un disavanzo tra entrate ed uscite, non prova che la differenza sia stata versata dall’amministratore con denaro proprio. E comunque, questi non aveva ottenuto alcuna approvazione per l’attività svolta. Anzi, la scarsa trasparenza d’operato, la latitanza e l’assenza di riscontri avevano suggerito la revoca del mandato. Inoltre, secondo l’ente la delibera di approvazione del rendiconto non precludeva di contestarlo in sede di proposizione di azione risarcitoria considerato il carattere dichiarativo e confessorio dell’atto di approvazione – revocabile e modificabile in caso di colpa grave o dolo – e potendo l’assemblea approvare e autorizzare pagamenti solo per spese realmente erogate per finalità collettive.
Quanto al rigetto della riconvenzionale per mancanza di prova dei danni da cattiva gestione, le carte attestavano il contrario. Appello accolto solo nel ricalcolo dell’importo dovuto all’ex amministratore, non risultando conteggiato un assegno disposto e riscosso, ma bocciato nel resto. Nel bilancio consuntivo, premette, era stata inserita tra le passività la voce «anticipazioni Amministratore» e ciò valeva da riconoscimento di debito. Ed è vero, marca, che ove il rendiconto evidenzi un disavanzo entrate ed uscite, la sua approvazione non consente di ritenere provato che la differenza sia stata versata dal gestore di tasca propria – giacché la ricognizione di debito richiede uno specifico atto di volontà assembleare – ma, nella vicenda, dalla delibera di approvazione del rendiconto e dello stato patrimoniale non emergeva solo un disavanzo tra entrate ed uscite ma conteneva quella specifica voce di riconoscimento di debito.
L’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, poi, è compito assembleare le cui delibere se non impugnate subito per vizi che ne causino l’annullabilità, sono obbligatorie per tutti. Il dissenziente, infatti, non può, senza formale impugnazione (cui non può equipararsi una contestazione scritta) sottrarsi al pagamento di quanto dovuto su ripartizione approvata. Ma anche nel rapporto condominio e amministratore, la delibera assembleare di approvazione del rendiconto non tempestivamente impugnata rende incontestabile il rendiconto di modo così che eventuali crediti da esso risultanti in favore del gestore (per anticipazioni, compensi) non possano più discutersi perché validamente approvati.
L’approvazione del rendiconto, quindi, cristallizzava fra i debiti del condominio la restituzione delle anticipazioni all’amministratore. Per tali motivi, respinta altresì la pretesa risarcitoria da cattiva gestione per difetto di prova del danno lamentato, la Corte di appello di Roma riforma la sentenza solo in punto di calcolo del dovuto confermandola nel resto.